Una delle accuse che, più di tutte, ha danneggiato l’immagine di Julian Assange e WikiLeaks è quella di aver messo a rischio le vite di fonti, militari e civili pubblicando documenti non redatti e contenenti dati sensibili.
Ma, ora, sono proprio i veterani statunitensi a difendere il lavoro dell’organizzazione di Assange
La pubblicazione degli Afghan War Logs e degli Iraq War Logs ha contribuito a denunciare crimini di guerra, torture e morti di civili mai denunciate. Crimini che, altrimenti, sarebbero rimasti segreti.
Ma proprio per aver mostrato al pubblico, attraverso documenti veri, i retroscena della guerra, Assange rischia l’estradizione negli USA e una condanna a 175 anni di carcere.
Assange e le “mani sporche di sangue”
Dopo la pubblicazione degli Afghan War Logs, cablo riservati che denunciavano crimini di guerra in Afghanistan, l’ammiraglio Mike Mullen accusò Assange di “avere le mani sporche di sangue“.
“Il signor Assange può dire quello che vuole sul bene più grande che pensa che lui e la sua fonte stiano facendo, ma la verità è che potrebbero già avere sulle loro mani il sangue di qualche giovane soldato o quello di una famiglia afghana”.
Allo stesso modo, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Robert Gates, affermò:
“Le conseguenze sul campo di battaglia sono potenzialmente gravi e pericolose per le nostre truppe, i nostri alleati e partner afghani, e potrebbero danneggiare le nostre relazioni e la nostra reputazione in quella parte chiave del mondo”.
A questi attacchi, Assange rispose rimproverando gli USA, i quali stavano ignorando i gravi crimini di guerra che erano stati denunciati pubblicamente.
“Il segretario Gates ha parlato di sangue ipotetico, ma i terreni dell’Iraq e dell’Afghanistan sono coperti di sangue vero.
Migliaia di bambini e adulti sono stati uccisi, e gli Stati Uniti avrebbero potuto annunciare un’ampia inchiesta su queste uccisioni. Ma hanno reagito con disprezzo.
Questo comportamento è inaccettabile. Continueremo a denunciare gli abusi di questa amministrazione e di altri“.
Il Dipartimento della Giustizia fu successivamente costretto ad ammettere che non ha mai trovato alcun individuo danneggiato dalle rivelazioni di WikiLeaks.
Nonostante questo, il sospetto rimase, e contribuì ad alimentare un alone di mistero e controversia intorno all’organizzazione.
Veterans for Assange: quella delle vite in pericolo è una falsa credenza
Oggi, però, sono gli stessi veterani, riuniti nel gruppo “Veterans for Assange” a difendere il lavoro del giornalista e del suo staff.
“Coloro che mettono a rischio vite umane sono coloro che hanno mentito (e continuano a mentire) sulle vere ragioni e i veri effetti della guerra”.
Per quanto riguarda la redazione dei documenti che venivano inviati alla piattaforma di WikiLeaks, il processo era molto rigoroso e preciso, proprio per evitare che vite innocenti venissero messe a rischio.
John Goetz, giornalista americano che lavorò come media partner dell’organizzazione, ha testimoniato in tribunale spiegando la situazione.
“Assange era molto ansioso nella ricerca dei nomi nelle massicce raccolte di documenti. In tal modo avremmo potuto censurarli e non sarebbero stati pubblicati, e quelle persone non sarebbero state danneggiate.
Mirava a redazioni rigorose, ed era insistente persino nel distribuire software che rimuovessero le parole irachene dai cablogrammi di WikiLeaks”.
Goetz dichiarò anche che, prima della pubblicazione degli Afghan War Logs, i media partner avevano inviato una delegazione di giornalisti del NYT alla Casa Bianca per discutere in anticipo il rilascio dei cablo.
La delegazione informò le autorità del fatto che WikiLeaks non avrebbe pubblicato 15.000 documenti riguardanti l’Afghanistan perché troppo sensibili. Inoltre, i giornalisti chiesero assistenza alla stessa Casa Bianca per redigere al meglio i documenti. Ma, come raccontò Goetz, la richiesta fu accolta con “derisione“.
Risulta, infine, che WikiLeaks abbia redatto persino più di quanto abbia mai fatto il Dipartimento della Difesa nelle richieste FOIA.
“L’organizzazione ha finito per redigere più di quanto abbia fatto il Dipartimento della Difesa. Alcuni dei documenti, infatti, erano stati declassificati e rilasciati sotto richieste FOIA, quindi si potevano confrontare le redazioni e vedere che WikiLeaks aveva nascosto più nomi di quanti ne avesse censurati il governo degli Stati Uniti“
The Guardian e l’incidente dei cablo non redatti
Solo in un’occasione, nel 2010, WikiLeaks fu costretta a pubblicare documenti non redatti a causa della mossa sconsiderata di un giornalista del quotidiano inglese The Guardian.
Uno dei giornalisti del Guardian, David Leigh, in quanto media partner di WikiLeaks, possedeva la password per accedere ai dispacci della diplomazia statunitense, raccolti nel cosiddetto Cablegate, nella loro versione non ancora redatta.
Durante il lavoro di analisi e redazione dei documenti, ogni media partner riceveva istruzioni precise e rigorose su come tenere la password al sicuro, dato che i documenti contenevano dati e nomi sensibili.
Tuttavia, insieme al collega Luke Harding, Leigh decise di pubblicare la password nel suo libro “WikiLeaks: Inside Julian Assange’s War on Secrecy“.
Successivamente, il settimanale tedesco Freitag rivelò in uno scoop che il libro di Leigh conteneva la password per leggere i dispacci non redatti di WikiLeaks, e la notizia fece velocemente il giro del mondo.
Nonostante WikiLeaks non avesse colpa, fece diversi sforzi per limitare i danni che sarebbero potuti derivare da quell’azione. Assange cercò persino di contattare telefonicamente Hillary Clinton per avvertirla dell’ipotetico rischio, ma riuscì solo ad avere una conversazione con Cliff Johnson del Dipartimento di Stato.
In seguito, quando altri media decisero di pubblicare i cablo per intero e questi iniziarono a circolare sul web, WikiLeaks pubblicò sul proprio sito i file completi.
In merito a questo incidente, e alla decisione di pubblicare i cablo non redatti solo alla fine, Julian Assange ha dichiarato:
“Quando abbiamo pubblicato i cablogrammi, il materiale era già su dozzine di siti web, tra cui Cryptome, e veniva twittato ovunque.
Per minimizzare il danno, ci sono persone che hanno bisogno di sapere che sono menzionate nel materiale prima che le agenzie di intelligence sappiano che sono menzionate”.
Blinken: “grave danno alla nostra sicurezza nazionale”
In questi giorni, si sono tenuti a Brisbane, in Australia, i colloqui di Ausmin. In particolare, ministri australiani e statunitensi si sono riuniti per discutere la cooperazione militare tra i due Stati all’interno del patto Aukus.
Oltre a ciò, è stata sollevata la questione del caso Assange.
La posizione dell’Australia in merito all’estradizione del giornalista negli Stati Uniti è stata espressa dalla ministra degli Esteri australiana, Penny Wong, in una conferenza stampa congiunta con Blinken.
“Abbiamo chiarito la nostra opinione: il caso del signor Assange si è trascinato per troppo tempo, e il nostro desiderio è che sia portato a una conclusione. Lo abbiamo detto pubblicamente, e ciò riflette anche la posizione che esprimiamo in privato“.
Posizione non condivisa dallo statunitense Blinken, che ha invece chiarito l’intenzione di voler proseguire il processo contro il fondatore di WikiLeaks.
“Capisco le sensibilità, capisco le preoccupazioni e le opinioni degli australiani. Ma penso che sia molto importante che i nostri amici qui capiscano le nostre preoccupazioni su questo argomento.
Assange è stato accusato di condotta criminale molto grave. Le sue azioni hanno rischiato di danneggiare gravemente la nostra sicurezza nazionale, a beneficio dei nostri avversari, e hanno messo le fonti umane nominate a grave rischio di danni fisici e detenzione.
Quindi, dal momento che noi comprendiamo le sensibilità dell’Australia, è importante che i nostri amici capiscano le sensibilità negli Stati Uniti“.
Gli USA, quindi, sembrano voler proseguire nel tentativo di estradare Julian Assange.
La decisione definitiva potrebbe arrivare nei prossimi giorni.
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