Il più grande ordigno politico alla libertà di informazione
di Francesco Maggiurana
L’altro giorno, venerdì 17 giugno, il Regno Unito, tramite il ministro degli interni britannico Priti Patel ha firmato l’atto politico dell’estradizione di Julian Assange negli USA. Un atto politico di natura esclusivamente intimidatoria, volta a lanciare il messaggio delle tipiche cosche mafiose: “estradarne uno, per colpirne cento”. Un atto che rende il Regno Unito connivente, fino al midollo, rispetto alle politiche imperialiste degli USA.
La difesa di Assange ha 14 giorni per fare appello e, se dovesse essere rigettato, c’è da sperare che la CEDU di Strasburgo faccia valere i suoi diritti legati alla libertà di stampa – gli stessi che sono inseriti, tra l’altro, nel primo emendamento della carta fondamentale degli Stati Uniti d’America – e che, al contrario, non si dimostri il braccio in-umano, e connivente, dell’imperialismo a stelle e a strisce.
Di in-umano, già c’è la condizione e la persecuzione, che va avanti da una decina di anni, nei confronti di Julian Assange. Il principale giornalista vivente, come amo definirlo, che sta pagando tutto questo, considerando che da oltre 3 anni, ovvero da 1167 giorni vive da recluso nella cella di massima sicurezza di Belmarsh, a Londra, nel democratico Regno Unito, per aver dimostrato un coraggio disarmante nell’aver svolto esclusivamente un servizio pubblico, e a causa del quale viene considerato un soggetto pericoloso, come viene, allo stesso modo, considerata pericolosa la piattaforma giornalistica no-profit Wikileaks di cui è co-fondatore. Pericolosi per l’occidente, gli USA e quella organizzazione criminale della CIA che già nel 2017 stava escogitando un piano per assassinarlo.
Il via libera all’estradizione, da parte della Patel, rappresenta, senza ombre di dubbio, il più feroce e potente attacco alla libertà di stampa, nonché la plastica dimostrazione di quello che si sta concretizzando come il più grande assassinio politico, a livello mondiale, che si sia mai registrato nell’èra contemporanea.
Ci attende una lotta di resistenza alla Davide contro Golia. Per questo è necessaria, come non mai, la voce e l’aiuto di quante più persone possibili. Soprattutto per chi professa parole come pace e diritti umani.
Con altri compagni di viaggio, tempo fa, con i nostri modestissimi mezzi a disposizione, siamo passati davanti la sede de La Repubblica, a Roma, per rammentare loro il dovere deontologico, e quello morale, nei confronti del loro collega recluso in galera. Un dovere deontologico aimé scomparso – ammesso e non concesso vi sia mai esistito – anche da parte della testata del Corriere della Sera. Invitiamo loro a sostenere la causa del loro collega Assange, invece di fare squadrismo editoriale con le schedature da segnaletica a chi esprime un pensiero non allineato alla narrazione euro-atlantica. Come sollecitiamo, allo stesso modo, tutti gli attori sociali, accademici, civili e non solo, ad alzare la voce. Per me, infatti, nessun politico, segretario o presidente di partito, giornalista, accademico, intellettuale, artista, militante politico o di associazione può avere l’onestà intellettuale di sbandierare certi valori, se prima non difende Julian Assange e la causa di Wikileaks, che è patrimonio dell’umanità.
Assange rischia la vita non solo per colpa di coloro che lo hanno voluto in galera, e che non vedono l’ora di vederlo passare a miglior vita, con il rischio di una pena pari fino a 175 anni di carcere. Ma anche, se non soprattutto per colpa di coloro che, pur vedendolo in catene, e con il cappio al collo, preferiscono tacere e non chiedere la sua liberazione. Girandosi dall’altra parte: quella della vergogna.
“Non temo la cattiveria dei malvagi. Ma il silenzio degli onesti”
Martin Luther King