Media e politici, finalmente, dalla parte di Assange

Dalla lettera dei 5 media partner, alla dichiarazione del PM australiano Albanese, fino al supporto del neopresidente brasiliano Lula.
Sono sempre di più le voci autorevoli che si pronunciano per Julian Assange

“Pubblicare non è un crimine”, la lettera dei 5 giornali

Lo scorso 28 novembre, in occasione del dodicesimo anniversario della pubblicazione del Cablegate, i primi 5 media partner di WikiLeaks – New York Times, Guardian, Le Monde, El País e Der Spiegel – hanno pubblicato una lettera in difesa di Julian Assange.

Pubblicare non è un crimine: Il governo statunitense dovrebbe porre fine all’accusa di pubblicazione di segreti nei confronti di Julian Assange.

Con questa frase inizia la lettera, che prosegue descrivendo la situazione in cui si trova il fondatore di WikiLeaks.

Dodici anni fa, il 28 novembre 2010, le nostre cinque testate internazionali – New York TimesGuardianLe MondeEl País e Der Spiegel – hanno pubblicato una serie di rivelazioni in collaborazione con WikiLeaks che hanno fatto il giro del mondo.
Il “Cablegate“, un insieme di 251,000 cablogrammi riservati del Dipartimento di Stato americano, ha rivelato corruzione, scandali diplomatici e affari di spionaggio su scala internazionale, sfruttando l’eccezionale patrimonio di documenti.

Per Julian Assange, editore di WikiLeaks, la pubblicazione del “Cablegate” e di diverse altre fughe di notizie correlate ha avuto le conseguenze più gravi. L’11 aprile 2019 Assange è stato arrestato a Londra su mandato di cattura degli Stati Uniti ed è ora detenuto da tre anni e mezzo in un carcere britannico di massima sicurezza, solitamente utilizzato per i terroristi e i membri di gruppi di criminalità organizzata. Rischia l’estradizione negli Stati Uniti e una condanna fino a 175 anni in un carcere americano di massima sicurezza.

L’amministrazione Obama-Biden, in carica durante la pubblicazione di WikiLeaks nel 2010, si è astenuta dall’incriminare Assange, spiegando che avrebbe dovuto incriminare anche i giornalisti delle principali testate. La loro posizione dava importanza alla libertà di stampa, nonostante le scomode conseguenze. Sotto Donald Trump, tuttavia, la posizione è cambiata. Il Dipartimento di Giustizia si è basato su una vecchia legge, l’Espionage Act del 1917 (concepito per perseguire potenziali spie durante la prima guerra mondiale), che non è mai stata utilizzata per perseguire un editore o una testata.

Nel successivo paragrafo, tuttavia, le testate sollevano una critica verso Assange.

Questo gruppo di redattori ed editori, che hanno tutti lavorato con Assange, ha sentito il bisogno di criticare pubblicamente la sua condotta nel 2011, quando sono state diffuse copie non redatte dei cablogrammi, e alcuni di noi sono preoccupati per le accuse contenute nell’atto di accusa di aver tentato di favorire l’intrusione informatica in una banca dati classificata. Ma ora ci riuniamo per esprimere le nostre gravi preoccupazioni riguardo alla prosecuzione dell’azione penale nei confronti di Julian Assange per aver ottenuto e pubblicato materiale classificato.

I 5 media fanno riferimento a un incidente avvenuto nel 2011, quando la versione non redatta del Cablegate finì inavvertitamente online.
In quell’occasione, WikiLeaks fu vittima di un attacco hacker a causa del quale fu possibile accedere a diversi documenti riservati criptati.
Successivamente, la password per decriptare i file venne resa pubblica in un libro da due giornalisti del Guardian, Luke Harding e David Leigh, che l’avevano ottenuta in qualità di media partner di WikiLeaks.
Infine, fu il settimanale tedesco Der Freitag a diffondere la notizia della presenza sulla rete del Cablegate non redatto e della relativa password.

Secondo i racconti di chi assistette all’incidente, lo staff di WikiLeaks cercò in ogni modo di preservare la sicurezza dei dati sensibili contenuti nei documenti, cercando di contattare Hillary Clinton per avvisarla del pericolo.
La Casa Bianca rifiutò di collaborare.
In ogni caso, non sono mai stati rilevati casi di persone danneggiate da quei documenti.

In conclusione, i giornali hanno evidenziato i rischi che comporterebbe l’incriminazione di Assange nei confronti della libertà di stampa.

Questa incriminazione costituisce un pericoloso precedente e minaccia di violareil Primo Emendamento americano e la libertà di stampa.
Ottenere e divulgare informazioni sensibili quando è necessario nell’interesse pubblico è una parte fondamentale del lavoro quotidiano dei giornalisti.
Se questo lavoro viene criminalizzato, il nostro discorso pubblico e le nostre democrazie si indeboliscono notevolmente.

Pubblicare non è un crimine.

“È ora di chiudere questa vicenda”: la dichiarazione del PM australiano Albanese

Anthony Albanese, Primo Ministro australiano, aveva preso posizione contro la persecuzione di Julian Assange già nel marzo del 2021.

“Quando è troppo, è troppo. Non ho simpatia per molte delle sue azioni, ma essenzialmente non riesco a vedere perché continuare a tenerlo incarcerato”

In seguito alla sua elezione a PM, Albanese ha promesso che avrebbe condotto una “diplomazia tranquilla” con gli USA in merito al caso Assange. Tuttavia, nei mesi successivi, l’impegno di Albanese sembrava ormai dissolto.

Fino a che, la scorsa settimana, il Primo Ministro è stato interrogato sulla questione dalla parlamentare australiana Monique Ryan, durante un incontro con alcuni ufficiali.

“Ho sollevato personalmente la questione con i rappresentanti del governo degli Stati Uniti.
La mia posizione è chiara, ed è stata chiarita all’amministrazione statunitense: è ora di chiudere questa vicenda. Si tratta di un cittadino australiano.
Continuerò a sostenere questo punto, come ho fatto di recente nelle riunioni che ho tenuto”.

Nella sua dichiarazione, Albanese ha fatto riferimento anche a Chelsea Manning, whistleblower di WikiLeaks che ha ricevuto la grazia dopo 7 anni di detenzione in un carcere militare.

“Chelsea Manning ora è in grado di partecipare liberamente alla società statunitense.
Bisogna arrivare a un punto: che senso ha continuare questa azione legale, che potrebbe essere portata avanti per molti anni, nel futuro?”

L’intervento di Albanese è stato accolto molto positivamente dai familiari di Julian Assange.
Il padre, John Shipton, si è congratulato con il PM per aver preso una ferma posizione in contrasto con il governo statunitense.

“Il Primo Ministro Albanese si erge con fermezza con i suoi cittadini, a fianco delle 5 testate più grandi del mondo.
Fate cadere le accuse. Riportate Julian a casa. Possiamo ora vedere la posizione dell’Australia nei confronti di Washington, alleato apprezzato o meno”.

Anche Gabriel Shipton, fratello del giornalista, ha espresso fiducia perché questa azione porti a una svolta nel caso.

“Finalmente, il Primo Ministro ha pubblicamente chiesto che questa infinita persecuzione nei confronti del giornalista australiano Julian Assange giunga a una conclusione.
Gli australiani guarderanno con attenzione il modo in cui reagiranno gli USA, e se decideranno di rispettare la richiesta del pubblico e del governo australiano, mostrando pietà verso un cittadino”.

Secondo Greg Burns, consulente legale australiano di Assange e parte attiva della campagna per la sua liberazione, la dichiarazione di Albanese è un segnale molto forte.

“Quando un PM australiano esprime preoccupazione per il trattamento di un cittadino da parte del governo degli USA si tratta di una cosa seria, visto il rapporto di alleanza tra i due Paesi.
È chiaro che Anthony Albanese comprende l’ingiustizia subita da Assange.
Gli australiani si aspettano, giustamente, che il governo intervenga nei casi di cittadini detenuti ingiustamente all’estero”.

Anche il Presidente Lula dalla parte di Assange

Nelle ultime settimane, una delegazione di WikiLeaks ha avviato una serie di colloqui con i rappresentanti di alcuni Paesi sudamericani.

Pochi giorni fa, il caporedattore Kristinn Hrafnsson e l’editore Joseph Farrell hanno incontrato il Presidente della Colombia, Gustavo Petro, e il Ministro degli Esteri, Álvaro Leyva, nel palazzo presidenziale di Bogotà.
Secondo Hrafnsson, Petro “aiuterà Wikileaks a unire le forze con altri presidenti della regione per fare pressione sull’amministrazione Biden e mettere fine alle accuse verso Assange“.
Inoltre, Petro ha assicurato che solleverà la questione con i leader regionali in occasione di una riunione in Messico.

In seguito, Hrafnsson e Farrell si sono recati in Brasile dove hanno incontrato il neo-eletto Presidente del Brasile Lula da Silva a Brasilia.

“Ero con Hrafnsson, caporedattore di WikiLeaks, e l’editore Joseph Farrell, che mi ha informato sulla situazione sanitaria e sulla lotta per la libertà di Julian Assange.
Ho chiesto loro di inviare la mia solidarietà. Possa Assange essere liberato dalla sua ingiusta prigionia”.

Mentre si attende una risposta dall’Alta Corte britannica in merito all’estradizione del fondatore di WikiLeaks, le voci autorevoli che si pronunciano a favore della sua liberazione sono sempre di più.

Elon Musk lancia un sondaggio: “Assange e Snowden dovrebbero essere perdonati?”

Elon Musk, il nuovo proprietario di Twitter, ha annunciato sin dall’inizio che la sua priorità sarebbe stata quella di trasformare la piattaforma in un luogo simbolo della libertà di espressione
Per questo motivo, durante una diretta live, un follower (@KimDotcom) ha chiesto a Musk di esprimersi sulla persecuzione subita da Julian Assange e Edward Snowden.
Lui, pur dichiarando di non essere abbastanza informato da poter fornire un’opinione sul caso, ha promesso che avrebbe lanciato un sondaggio sul suo profilo.

“Non sto esprimendo un’opinione, ma ho promesso che avrei fatto questo poll.
Assange e Snowden dovrebbero essere perdonati?”

Il sondaggio ha raggiunto in poche ore oltre 2 milioni di voti, con un netto vantaggio per chi sostiene che dovrebbero ottenere la grazia degli USA.

da Twitter
https://twitter.com/elonmusk/status/1599224347121500160?s=46&t=m9xlwv8ZGw8GGXqf6zMmPQ

Pur riconoscendo l’importanza mediatica di questo sondaggio, alcuni supporter hanno criticato la scelta di Musk di non prendere una posizione netta.
Inoltre, risulta infelice l’utilizzo del termine “perdonare”, in quanto né Assange né Snowden hanno qualcosa di cui scusarsi.
Entrambi dovrebbero essere lasciati liberi di tornare a casa, ovunque essa sia.

Giulia Calvani

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